La pandemia ha assestato un duro colpo a quel mondo in cui capi guardavano dall’alto in basso i propri collaboratori, il mondo dei “ragionier Fantozzi”. Ormai flessibilità, work-life integration e qualità di vita sono diventate caratteristiche imprescindibili per chi cerca impiego ma anche per chi un lavoro ce l’ha, nonostante le invettive contro smart working di imprenditori come Elon Musk o le esaltazioni sessiste del lavoro H24 di Elisabetta Franchi. Una trasformazione che ci allontana dai vecchi schemi ormai obsoleti a favore di un’organizzazione del lavoro più orizzontale e partecipata.
L'impiego d’ufficio come è stato sempre tradizionalmente concepito e vissuto non esiste più, i cambiamenti che abbiamo vissuto hanno creato nuove esigenze.
“Si vive una volta sola”, è il mantra che sta spopolando tra i lavoratori delle nuove generazioni (e non solo), che si stanno avvicinando alla YOLO (‘You Only Live Once’ appunto) economy, che ha generato quell’ondata di dimissioni di massa che le aziende sono chiamate a scongiurare sapendo cogliere quello che sarà il futuro del mondo del lavoro rispondendo alla necessità di costruire processi agili che garantiscano resilienza e produttività in contesti incerti e mutevoli, ma anche che valorizzino diversità e inclusione.
Un mondo del lavoro che è per sua stessa natura in continua evoluzione e che cambia per diverse ragioni: alcune cicliche, altre strutturali, a tutto questo si è aggiunta l’emergenza sanitaria. Ciò che oggi emerge è la centralità delle esigenze dei lavoratori che chiedono di più sia in termini di benessere che di motivazione alle proprie aziende, un mondo “Human-centric”. Con la parola benessere, ora non si fa riferimento solo al benessere fisico ed economico, ma anche a quello mentale che diventa prioritario, andando ad ampliare prepotentemente il concetto di salute e sicurezza.
Ciò che si auspica è mantenere i cambiamenti positivi sperimentati durante la pandemia e che il mondo del lavoro prenda una nuova forma andando incontro alle esigenze dei lavoratori, trovando un equilibrio tra vita privata e professionale e coltivando flessibilità e interazione. Forte è il desiderio di un approccio personalizzato, senza essere incasellati, etichettati o messi a confronto. Il nuovo scenario spinge quindi ogni persona che è in cerca di lavoro o vuole cambiarlo a riallineare i suoi obiettivi personali e professionali con le diverse e nuove esigenze del mercato del lavoro.
Sono diventate ancora più importanti soft skills (quelle che fanno riferimento alle qualità della persona) poichè valorizzano e rafforzano le specifiche competenze tecniche.
La peculiarità di queste competenze consiste nel fatto che non si acquisiscono quasi mai o non del tutto durante il percorso di studi universitario tradizionale in quanto sono l’espressione di esperienze, interessi e talenti personali. Si tratta di competenze che possiamo sviluppare, applicare in diversi ambiti: la capacità di comunicazione, di organizzazione, di gestione di reti di relazioni complesse, l’attitudine al problem solving, la capacità decisionale di leadership, la resilienza sul posto di lavoro sono alcune delle principali soft skills. Naturalmente, nessuno riunisce in sè così tante abilità, ma è importante sviluppare alcune di queste nel modo più efficace possibile.
Il cambiamento è difficile, ci troviamo a nostro agio nelle situazioni che conosciamo e difficilmente tendiamo a modificare lo status quo, ma quando il cambiamento ci viene imposto capita che si apra uno spiraglio. Abbiamo la possibilità di riorganizzare tutto con immaginazione e volontà. Quando pensiamo al futuro del lavoro, non dobbiamo pensare di tornare a come eravamo prima della pandemia. Troppe cose sono cambiate. Non è sufficiente riportare i lavoratori in ufficio ma neppure dare loro la possibilità di lavorare da casa per sempre: l’obiettivo dovrà essere quello di mettere l’individuo al centro, ovunque si trovi, aiutandolo a svolgere al meglio il proprio lavoro.
Negli ultimi 2 anni ci siamo trasferiti, abbiamo assistito a riunioni, sessioni formative, assemblee usando Zoom, Teams, Meet, abbiamo abbandonato le auto, abbiamo ripreso possesso del nostro tempo e gestito diversamente la nostra vita privata. Questo è il nuovo modo di lavorare, non si tratta, lo ripeto, solo di lavorare da casa, si tratta di poter lavorare con piacere.
Quello che abbiamo visto è che le persone vogliono lavorare bene e meglio di prima e che hanno capito che esiste un nuovo modo per farlo. Non sarà perfetto o privo di difetti ma il lavoro e la vita possono cambiare per sempre in meglio se abbiamo come riferimento una visione fondata su flessibilità, inclusività e connessione.
Non sono più le ore passate davanti ad uno schermo o il numero di persone in ufficio i parametri che contano: le lavorazioni andranno valutate sulla base dei risultati ottenuti e non sulla rigidità delle attività svolte.
Tutti abbiamo una vita fatta di tante cose: che siano figli o genitori, amici o hobby, e il lavoro. I cambiamenti in essere hanno portato al superamento del work-life balance in favore della work-life integration, un approccio che crea maggiori sinergie tra tutte le aree che definiscono la vita: lavoro, famiglia, comunità, benessere personale e salute. Stiamo imparando a guardare la nostra vita nella sua interezza, nel work-life balance vita e lavoro sembravano essere in competizione tra loro, oggi non è più così . si risponde alle e-mail aspettando il proprio bambino fuori da scuola, si fanno riunioni da remoto dalla casa al mare o dal tavolino di un bar. Non c’è più un limite né fisico né temporale a separare il “work” dal “life”: tutto fa parte della vita di una persona. Se ben gestita, la work-life integration genera benessere e felicità.
Nulla sarà più come prima e nel futuro ci sarà spazio solo per chi saprà gestire i cambiamenti e anticiparli invece che subirli: come ha detto il Nobel per l’economia Edmund Phelps.
La scienza ha dimostrato che la felicità fa lavorare meglio. Quindi, attraverso la gentilezza, la cura e l’attenzione al personale si valorizza al meglio il capitale umano e si creano condizioni di lavoro ottimali.
Il futuro è fatto di collaborazione e di condivisione. Nessun cambiamento potrà accadere se non con una prospettiva comune. La domanda deve essere sempre: “Quale contributo posso portare?”
Solo così potremmo cercare di costruire mondi lavorativi nuovi, da cui non si debba fuggire ma in cui, al contrario, si voglia restare.
L'impiego d’ufficio come è stato sempre tradizionalmente concepito e vissuto non esiste più, i cambiamenti che abbiamo vissuto hanno creato nuove esigenze.
“Si vive una volta sola”, è il mantra che sta spopolando tra i lavoratori delle nuove generazioni (e non solo), che si stanno avvicinando alla YOLO (‘You Only Live Once’ appunto) economy, che ha generato quell’ondata di dimissioni di massa che le aziende sono chiamate a scongiurare sapendo cogliere quello che sarà il futuro del mondo del lavoro rispondendo alla necessità di costruire processi agili che garantiscano resilienza e produttività in contesti incerti e mutevoli, ma anche che valorizzino diversità e inclusione.
Un mondo del lavoro che è per sua stessa natura in continua evoluzione e che cambia per diverse ragioni: alcune cicliche, altre strutturali, a tutto questo si è aggiunta l’emergenza sanitaria. Ciò che oggi emerge è la centralità delle esigenze dei lavoratori che chiedono di più sia in termini di benessere che di motivazione alle proprie aziende, un mondo “Human-centric”. Con la parola benessere, ora non si fa riferimento solo al benessere fisico ed economico, ma anche a quello mentale che diventa prioritario, andando ad ampliare prepotentemente il concetto di salute e sicurezza.
Ciò che si auspica è mantenere i cambiamenti positivi sperimentati durante la pandemia e che il mondo del lavoro prenda una nuova forma andando incontro alle esigenze dei lavoratori, trovando un equilibrio tra vita privata e professionale e coltivando flessibilità e interazione. Forte è il desiderio di un approccio personalizzato, senza essere incasellati, etichettati o messi a confronto. Il nuovo scenario spinge quindi ogni persona che è in cerca di lavoro o vuole cambiarlo a riallineare i suoi obiettivi personali e professionali con le diverse e nuove esigenze del mercato del lavoro.
Sono diventate ancora più importanti soft skills (quelle che fanno riferimento alle qualità della persona) poichè valorizzano e rafforzano le specifiche competenze tecniche.
La peculiarità di queste competenze consiste nel fatto che non si acquisiscono quasi mai o non del tutto durante il percorso di studi universitario tradizionale in quanto sono l’espressione di esperienze, interessi e talenti personali. Si tratta di competenze che possiamo sviluppare, applicare in diversi ambiti: la capacità di comunicazione, di organizzazione, di gestione di reti di relazioni complesse, l’attitudine al problem solving, la capacità decisionale di leadership, la resilienza sul posto di lavoro sono alcune delle principali soft skills. Naturalmente, nessuno riunisce in sè così tante abilità, ma è importante sviluppare alcune di queste nel modo più efficace possibile.
Il cambiamento è difficile, ci troviamo a nostro agio nelle situazioni che conosciamo e difficilmente tendiamo a modificare lo status quo, ma quando il cambiamento ci viene imposto capita che si apra uno spiraglio. Abbiamo la possibilità di riorganizzare tutto con immaginazione e volontà. Quando pensiamo al futuro del lavoro, non dobbiamo pensare di tornare a come eravamo prima della pandemia. Troppe cose sono cambiate. Non è sufficiente riportare i lavoratori in ufficio ma neppure dare loro la possibilità di lavorare da casa per sempre: l’obiettivo dovrà essere quello di mettere l’individuo al centro, ovunque si trovi, aiutandolo a svolgere al meglio il proprio lavoro.
Negli ultimi 2 anni ci siamo trasferiti, abbiamo assistito a riunioni, sessioni formative, assemblee usando Zoom, Teams, Meet, abbiamo abbandonato le auto, abbiamo ripreso possesso del nostro tempo e gestito diversamente la nostra vita privata. Questo è il nuovo modo di lavorare, non si tratta, lo ripeto, solo di lavorare da casa, si tratta di poter lavorare con piacere.
Quello che abbiamo visto è che le persone vogliono lavorare bene e meglio di prima e che hanno capito che esiste un nuovo modo per farlo. Non sarà perfetto o privo di difetti ma il lavoro e la vita possono cambiare per sempre in meglio se abbiamo come riferimento una visione fondata su flessibilità, inclusività e connessione.
Non sono più le ore passate davanti ad uno schermo o il numero di persone in ufficio i parametri che contano: le lavorazioni andranno valutate sulla base dei risultati ottenuti e non sulla rigidità delle attività svolte.
Tutti abbiamo una vita fatta di tante cose: che siano figli o genitori, amici o hobby, e il lavoro. I cambiamenti in essere hanno portato al superamento del work-life balance in favore della work-life integration, un approccio che crea maggiori sinergie tra tutte le aree che definiscono la vita: lavoro, famiglia, comunità, benessere personale e salute. Stiamo imparando a guardare la nostra vita nella sua interezza, nel work-life balance vita e lavoro sembravano essere in competizione tra loro, oggi non è più così . si risponde alle e-mail aspettando il proprio bambino fuori da scuola, si fanno riunioni da remoto dalla casa al mare o dal tavolino di un bar. Non c’è più un limite né fisico né temporale a separare il “work” dal “life”: tutto fa parte della vita di una persona. Se ben gestita, la work-life integration genera benessere e felicità.
Nulla sarà più come prima e nel futuro ci sarà spazio solo per chi saprà gestire i cambiamenti e anticiparli invece che subirli: come ha detto il Nobel per l’economia Edmund Phelps.
La scienza ha dimostrato che la felicità fa lavorare meglio. Quindi, attraverso la gentilezza, la cura e l’attenzione al personale si valorizza al meglio il capitale umano e si creano condizioni di lavoro ottimali.
Il futuro è fatto di collaborazione e di condivisione. Nessun cambiamento potrà accadere se non con una prospettiva comune. La domanda deve essere sempre: “Quale contributo posso portare?”
Solo così potremmo cercare di costruire mondi lavorativi nuovi, da cui non si debba fuggire ma in cui, al contrario, si voglia restare.